2019: l’anno della tavola periodica degli elementi… Ma, attenzione, esiste anche una tavola periodica degli elementi in via di esaurimento!
Il sistema che mette in ordine gli elementi chimici compie 150 anni: per celebrare il compleanno di uno strumento fondamentale per la scienza, l’UNESCO ha deciso di intitolargli il nuovo anno.
Mendeleev riorganizzò tutti i 63 elementi chimici all’epoca conosciuti preparando una scheda con le caratteristiche di ciascuno. Oggi li troviamo ordinati per numero atomico crescente (dato dal numero di protoni nel nucleo). Lo scienziato russo si accorse che proprietà chimiche simili si ripetevano a intervalli regolari, e che queste caratteristiche variavano gradualmente al crescendo del numero atomico.
La collocazione degli elementi nella tavola, basata sulle somiglianze nel comportamento chimico, fu usata anche per predire la proprietà degli elementi non ancora scoperti cui spettavano i “posti vuoti” nella griglia mendeleeviana. Oggi gli elementi noti della tavola periodica sono 118, ma gli scienziati stanno cercando il 119 e il 120.
Fino a poco tempo fa, l’umanità ha trattato la Terra come una risorsa infinita ma in realtà così non è: alcuni elementi, purtroppo, sono a “rischio estinzione”.
Tra quelli che subiscono una grave minaccia nei prossimi 100 anni ci sono l’argento, l’elio, lo zinco e il gallio.
Il numero atomico del gallio è 31. Si tratta di un metallo bianco-blu scoperto per la prima volta nel 1831, che possiede alcune proprietà inusuali, con un punto di fusione molto basso e la riluttanza all’ossidazione, che lo rendono utile come rivestimento per specchi ottici, una guarnizione liquida in apparecchi riscaldati e un sostituto del mercurio nelle lampade ultraviolette. E’ anche molto importante per rendere i display a cristalli liquidi utilizzati in televisori a schermo piatto e monitor per computer perchè può emettere luce da un impulso elettrico; viene usato in semiconduttori, LED, laser e nell’industria solare
Negli ultimi anni è aumentata la produzione di televisori a schermo piatto e monitor per computer e si ritiene che il gallio rappresenti lo 0,0015 per cento della crosta terrestre e non vi sono riserve concentrate.
Un altro elemento in pericolo di estinzione (numero 49 nella tavola periodica), simile per molti versi al gallio, è l’indio, un metallo morbido e malleabile che è disponibile in quantità ridotte sulla crosta terrestre, usato come additivo della benzina, o come componente delle barre di controllo utilizzate nei reattori nucleari, ma anche nel vostro telefono, computer o in qualsiasi altro schermo LCD.
Anche l’afnio, elemento 72, ha un destino segnato. Non abbiamo miniere di afnio intorno, si nasconde in quantità minime in minerali che contengono zirconio, da cui viene estratto con un processo complicato e viene usato molto nei chip dei computer.
Persino lo zinco, il vecchio zinco comune legato al rame per fare l’ottone, e che gli Stati Uniti hanno usato per le monete ordinarie di un centesimo quando il rame era in scarsità di approvvigionamento nella seconda guerra mondiale, ha un grosso rischio di estinzione. Lo zinco non è mai stato raro ma l’offerta è finita e la domanda infinita.
In altre parole, nelle nostre vite quotidiane dipendiamo da molti metalli che sono o poco comuni, o ambientalmente dannosi o che si trovano soltanto in luoghi come Cina, Bolivia o nella Repubblica Democratica del Congo dilaniata dalla guerra.
Ogni mese, nei Paesi dell’Unione Europea, 10 milioni di smartphone vengono gettati via. Essi non vengono attentamente riciclati, ma distrattamente buttati nella spazzatura.
E’ un grave problema, e non solo perché gli smartphone in disuso vanno ad aumentare il quantitativo di rifiuti elettronici, ma anche perché alcuni dei materiali che li compongono sono tutt’altro che abbondanti e, se non li recuperiamo dagli esemplari scartati, rischiamo di esaurirli.
Le parlamentari europee Catherine Stihler e Clare Moody sono ben coscienti di questo problema: per diffonderne la consapevolezza, hanno presentato a Strasburgo una particolare tavola periodica degli elementi elaborata da alcuni scienziati dell’Università di St. Andrews.
La particolarità di questa tavola, rispetto a quella normale, è che essa si concentra sui «90 elementi che compongono ogni cosa» e ne sottolinea visivamente la scarsità.
Dal diagramma si evince chiaramente come i materiali che finiscono negli smartphone siano in pericolo, vuoi perché non se ne trovano in abbondanza vuoi perché provengono da zone interessate da conflitti in corso.
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Una situazione del genere dovrebbe spingere a ripensare – sostengono le due europarlamentari, con l’appoggio dell’Associazione europea per le Scienze chimiche e molecolari (EuChemS) – la pratica fin troppo diffusa di sostituire lo smartphone ogni due anni circa, e invogliare a riciclare i vecchi apparecchi.
«È stupefacente vedere come tutto ciò che c’è nel mondo sia costruito con 90 mattoni, i 90 elementi chimici che si incontrano naturalmente» commenta David Cole-Hamilton, vicepresidente della EuChemS. «Di ciascuno c’è solo un quantitativo limitato, e noi usiamo alcuni di essi tanto rapidamente che spariranno dal mondo in meno di 100 anni. Molti di questi elementi sono invia di estinzione: dovete proprio cambiare il telefonino ogni due anni?».
Guardando ciascuno dei 62 metalli che usiamo oggi, compresa la scarsità di ogni elemento, la concentrazione in ciascuna nazione e la difficoltà di trovare sostituti adatti, lo studio crea una tavola periodica del rischio (o, come lo chiamano i ricercatori, “criticità”).
Zinco, rame ed alluminio – quelli più comunemente usati nelle industrie manifatturiere da molto prima della rivoluzione dei computer – pongono un piccolo rischio, pertanto hanno punteggi di “criticità” relativamente bassi. Tuttavia, a differenza dei metalli che erano comuni nelle ere passate, quelli usati nelle tecnologie più nuove ed emergenti, compresi smartphone, batterie, celle solari avanzate e varie applicazioni mediche, non sono altrettanto facili da ottenere in modo affidabile. Alcuni degli elementi, come l’arsenico
e il selenio, non possono essere estratti singolarmente; di solito sono un sottoprodotto di altri processi minerari.
Lo studio, pubblicato fra gli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, ha scoperto che i limiti di disponibilità sono più importanti per i metalli usati nell’elettronica, come il gallio e il selenio, anche se, per le implicazioni ambientali, i metalli come oro
e mercurio hanno dimostrato i rischi maggiori. Restrizioni di disponibilità imposte potrebbero alterare la disponibilità di metalli come il cromo
e il niobio, che contribuiscono alla formazione di importanti leghe di acciaio, tungsteno e molibdeno, che vengono usati per leghe ad alta temperatura. Il punto più importante per gli autori dello studio è quello di sottolineare la necessità di un programma di maggiore riciclaggio dell’elettronica così come di un cambiamento nel modo di pensare la progettazione. Più si rimettono in circolazione questi metalli, meno diventa la domanda di materiale fresco di miniera, osserva l’autore principale, l’ecologo industriale Thomas Graedel, che dice, “Penso che questi risultati dovrebbero mandare un messaggio ai progettisti dei prodotti: passare più tempo a pensare a cosa succede dopo che i loro prodotti non vengono più usati.”
La green economy viene presentata e sbandierata come la panacea di tutti i mali di questo secolo. Tutto questo e molto altro appartiene a un modello economico che non tiene mai conto dei limiti naturali di energia e materia prima che sono l’essenza di ogni cosa. Lo sviluppo delle energie rinnovabili in Europa potrebbe essere presto frenato dalla mancanza di disponibilità di alcune materie prime. Questo pericolo è al centro del rapporto messo a punto dall’Institute for Energy and Transport del Joint Research Centre della Commissione Europea. Il documento, intitolato Critical Metals in Strategic Energy Technologies, lancia l’allarme soprattutto su cinque materiali: indio, gallio, tellurio,
neodimio e disprosio, i primi tre utilizzati nel fotovoltaico, gli ultimi due per realizzare gli impianti eolici. Basti pensare che il governo cinese sta accumulando terre rare ormai da un po’ di anni, con l’obbiettivo di assicurare alla Cina la disponibilità di questi materiali strategici per la produzione di componenti tecnologici, la cui crescita è destinata a continuare nel futuro.
Quindi entriamo nel paradosso… per ottenere e sostenere energie pulite e per il progresso tecnologico rischiamo di estinguere alcune risorse di materie prime. Ancora una volta la risposta è nel riciclaggio responsabile dei rifiuti, che sempre più si delinea come una necessità imprescindibile.